venerdì 12 febbraio 2010

Legami

Ad implorarmi

non è la sua voce fatta muta

non è il suo sguardo tremante

non le mani impacciate

non la pelle lucida



è la stessa vita sua

che chiede di essere mia


Radaaria

venerdì 5 febbraio 2010

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mercoledì 3 febbraio 2010

Radaaria

Sono un’immagine

L’ombra leggera dietro le tue spalle quando ti guardi allo specchio, se distogli lo sguardo dai tuoi occhi svanisco, e torno a comparire nell’espressione dubbiosa tra le sopracciglia

Sono l’attesa del Ragno, sempre affamata e sempre sazia, capace di materializzare la vittima e renderla succulenta

Sono l’afflusso di sangue alle gengive, e il pulsare del desiderio

Sono il segno nero e fluente tra le carni, sparisco quando si toccano e colpisco inaspettatamente

Lo schiocco della frusta e il rossore che appare

Sono quello che ti faccio vedere, miraggio di sogni e sesso

Ho chi tesse le fila per me, do forma ai suoi pensieri,
ne accarezzo l’immagine, al centro della tela

Sono Radaaria

martedì 2 febbraio 2010

Fildor

Oltre la pesante porta sbarrata di fronte la quale sono seduto, passi pesanti lungo i corridoi, ordini secchi e sguaiati in una lingua che sembra straniera, a volte grida, ben presto soffocate.
Alle mie spalle, la grande finestra dai vetri spessi, attraversata da sbarre la cui ossidazione ha donato un bel colore brunito, simile ad oro scuro. Fuori, tramestii, grida di dolore e vittoria, scalpitii di cavalli ed il lontano rumoreggiare dei cannoni.
Io, se posso essere considerato un “io”, siedo a questa scrivania, di fronte a me una pila di fogli di carta ingiallita, una penna d’oca, ed una boccetta d’inchiostro. Non mi fanno mancare mai carta e inchiostro, me la portano quando dormo, non sono mai riuscito a vederli. Spesso ho finto di dormire, a volte anche per ore, ma hanno sempre aspettato il momento opportuno per entrare, quando realmente fossi sprofondato nel sonno.
Sono prigioniero, in una elegante e calda gabbia dorata.
Non ricordo i delitti per cui sono stato ingabbiato, non sono neanche sicuro di essere stato regolarmente processato, perché io, non sono proprio un “io”.
Ho un nome, guadagnato o regalatomi in qualche maniera in altri tempi, e questo nome è Fildor.
Un filo d’oro che serpeggia tra le righe che vedo fluire dalla punta della penna, come fosse un altro a scriverle, e che lega ricordi di fatti mai avvenuti e speranze di un domani inesistente.
Sono Fildor, il prigioniero, forse l’unico prigioniero di questa bastiglia onirica. Le grida, il rozzo marciare delle guardie, potrebbero essere solo sbarre della mia immaginazione, l’elaborata immagine di una prigione che ho costruito attorno a me stesso, per garantirmi questa comoda e solitaria cella.
Alzo la testa dalle carte e mi guardo intorno. Adagiata sul sofà, una bellissima giovinetta mi guarda con occhi da gatto, mentre lentamente si fa scivolare il dito nella fessura luccicante.
Bassi mugolii, risucchi liquidi ed un fremito di ombre mi aiutano a intuire che nell’angolo est della grande camera, proprio dietro l’imponente libreria, sta avendo luogo una piccola orgia.
Lo schioccare regolare di un frustino mi fa capire che proprio dietro di me, sotto la finestra sbarrata che mi offre visioni del Grande Nulla là fuori, un’inflessibile educatrice sta impartendo la sua lezione ad una vittima in estasi. Quest’ultima deve essere imbavagliata, perché non distinguo alcun lamento.
Guardo meglio intorno a me. La camera ora è vuota. I fantasmi appaiono e scompaiono, legati dalle catene d’oro della scrittura.
La carne e le parole della carne sono il giudice e la giuria che mi ha condotto qui, consensuale prigioniero, parte di un’individualità che mi travalica e di cui non mi interesso da tempo.
Il me stesso più alto ha una vita reale, suppongo. Eppure credo che a volte invidi la mia vita da recluso, visitato dai fantasmi del sesso. Mi servo dei suoi ricordi di incontri “reali”, per fabbricare le mie storie inventate. Eppure, il godimento della sua realtà, in gran parte proviene da questa umile fucina segreta, dalle mie carte.
Sono un essere senza carne che racconta storie di carne e desiderio.
Sono il prigioniero, che non baratterebbe nemmeno la più grande delle vostre libertà con la più innocua visione di queste ombre.
Lo schizzo del mio sperma disegna un arco d’argento nell’aria e si adagia su rotondità vellutate coperte dal buio, forse un paio di soffici seni, forse le spalliere di una poltrona. Sento mugolii soffocati e flebili carezze di fantasmi.
Non sono reale, ma questo non deve essere un problema per voi. La differenza tra me e voi è che io ne ho la consapevolezza.
Sono Fildor, e queste sono le mie storie.




Chi è Fildor.

Come accade per molte creature letterarie, Fildor è nato da un nome. Semplice contrazione di un cognome esistente, ha assunto ben presto una sua personalità parassitaria.
La scelta sconsiderata di dare un nome alla deriva letteraria erotica di uno sconosciuto autore ha organizzato pulsioni discordanti tra loro, ma accomunate da desideri di carne, di realtà concreta, di materia al livello primario. Tutto questo si è incanalato, per ovvie ragioni, nel mondo del sesso e dell’erotismo raccontato ed illustrato, e da questo è nato Fildor.
Dare un nome ad una cosa può essere un grande sbaglio, può farla vivere.
Fildor, attraverso l’identità reale dello sconosciuto autore, scrive le sue storie e a volte le pubblica, ma questa è solo la sua attività più superficiale.
Io credo che Fildor sia profondamente malvagio. Non mi illudo che questo giudizio sia del tutto libero da una certa morale cattolica del sesso, che bene o male mi è stata travasata con gli anni; ma al di là di questo, penso che quell’essere che dimora in me (perché sono io lo sconosciuto autore, come avranno già capito i lettori più avveduti) abbia piani più sottili e inquietanti che quelli di farmi scrivere semplici racconti erotici.
Fildor vuole aprire una porta, forse la stessa porta che lo chiude nella sua stanza, descritta nella sua presentazione. Quando questo accadrà, io non esisterò più, e Fildor sarà tra di noi.
Un mostro in più in un mondo di mostri, diranno alcuni, scrollando le spalle.
Può essere vero, forse un mostro in più non fa poi questa differenza, ma per una goccia in più il vaso ha traboccato.
Che Dio mi aiuti.

Fildor