giovedì 4 marzo 2010

BRIDGET THE MIDGET o L’ATTRAZIONE PER LA DIFFORMITA’

Bridget Se in questo esatto momento il Genio della Lampada della Libidine mi concedesse la realizzazione di uno specifico desiderio, ovvero quello di passare un’intera notte di sesso lussurioso e perverso con una Pornostar degli ultimi tempi, la mia scelta non ricadrebbe su fanciulle del calibro di Jenna Jameson, Belladonna o Aria Giovanni (se questi nomi non vi dicono niente credetemi sulla parola, sono operatrici del settore bellissime e molto portate per la professione).

No, la prescelta sarebbe qualcuno al di fuori della classifica delle top 100, molto diversa dalle signorine testé citate, un piccolo folletto del sesso, un bizzarro elfo del peccato, l’altra faccia delle favole della buona notte, 1 metro e 14 cm di pornostar, l’unica e sola Bridget Powers, altrimenti conosciuta come Bridget the Midget.

Bridget Sì, è una nana, e il termine tradotto in italiano assume tutta la crudezza di cui solo noi “normali” siamo capaci.

Ho “scoperto” Bridget cercando foto di modelle gothic e punk per un progetto di racconto che chissà se e quando vedrà la luce. Nelle mie saltuarie ma reiterate passeggiate nel porno mi ero già imbattuto di sguincio nel genere midget, ma non mi aveva mai attirato, anzi avevo provato quella vaga repulsione (probabilmente condivisa da molti) subito sedata dalla mia coscienza “progressista” che si compiaceva dei propri progressisti pensieri pensando “beh, almeno anche loro si divertono, e poi se c’è gente a cui piace vedere queste cose perché no, come posso pretendere che i miei feticismi siano più normali dei loro, e bla bla bla”. Chiacchiere di una mente pervy, democratica e pericolosa.

Poi, un primo piano intenso, occhi dal taglio allungato, un nasino costellato da una spruzzatina di efelidi, una bella bocca, il tutto con una certa sproporzione tra le parti che invece di disturbarmi mi attirava di più. Aprii la foto successiva e realizzai la tremenda verità. Quel bel volto sbarazzino e malizioso era quello di una nana! Niente fronte sporgente, occhi a palla o guance rotonde, quella era la testa di una bella ragazza messa sul corpicino “sbagliato”.

Mi sentii subito una merda (e a ragione!) per aver pensato una cosa del genere. Il mio corpo quindi era giusto e il suo sbagliato? O non è forse più corretto pensare che è la maggioranza a creare la normalità? In un mondo di nani Monica Bellucci probabilmente sarebbe una freak affascinante per alcuni, ma ributtante per molti.

Così, con la stessa curiosità intellettuale provata spulciando vita e opere di artisti o scrittori, mi sono andato a informare su Bridget the Midget.

Bridget è nata da genitori “normali” (più uso questa parola e più la detesto) che pensarono bene di divorziare quando lei aveva appena un anno. In un’intervista lei stessa avanza l’ipotesi che suo padre fosse spaventato dall’idea di avere una figlia “anormale”, e in qualche modo abbia voluto fuggire la responsabilità.

Bridget ha subito molte operazioni nell’età che va dai quattro ai quattordici anni per correggere l’anomala curvatura della gamba sinistra, cosa che, per usare le sue parole, l’ha portata a diventare abbastanza folle, soprattutto in adolescenza, forse per tutti i farmaci propinati durante le cure. Tuttora Bridget indossa un tutore al ginocchio sinistro, praticamente sempre.

Bridget ha fatto la prostituta, la lap dancer, la mangiatrice di spade, la spogliarellista di burlesque, la cantante rock e naturalmente la porno star. Bridget ha vissuto più vite nel suo piccolo corpo di quante normalmente ne vivono le persone normali, e uso per l’ultima volta questo aggettivaccio con tutta la consapevolezza necessaria.

Notizia ferale per i suoi fan, Bridget ha deciso di lasciare il business del porno perché si rifiuta di girare scene senza il condom, oggetto che evidentemente non riscuote molto successo nell’ambiente.

In un’intervista molto interessante Bridget afferma cose che mi hanno molto colpito. Tra queste la percezione che qualsiasi cosa faccia nella vita sia per lei, in qualità di little person, in qualche modo più sentita, nel bene e nel male. Ogni sforzo è maggiore, come lo è anche il piacere e il dolore. Ogni impresa è più difficile, ma per corrispettivo ogni traguardo raggiunto causa una gioia maggiore. Quando l’intervistatore le chiede se le piace essere come è, Bridget afferma una cosa molto semplice e vera: nella vita ogni persona vuole essere differente, e lei ha già la “fortuna” di esserlo.

Bridget Dal momento che non riesco a vivermi le mie improvvise pulsioni fantastiche ed erotiche senza tentare una parziale spiegazione, mi sono chiesto perché questa infatuazione per Bridget. Forse sto spacciando come interesse culturale e professionale l’affiorare di una nuova devianza nel mio immaginario sessuale (già abbastanza borderline), ovvero il feticismo per i nani, o nello specifico, le nane?

Si è detto che il feticcio è ciò che sta al posto di, e se è così, in questo caso, la gente piccola a che cosa rimanda?

Prendiamo momentaneamente per buono il fatto che un essere umano possa essere considerato “feticcio”, e la mia coscienza un po’ si ribella a questo pensiero, ma è utile per il ragionamento.

Una little person come Bridget rimanda all’idea di una deliziosa bambolina, sexy ed eccitante. A mio parere non ha nulla a che fare con la traslazione di attrazioni morbose verso minori, perché Bridget, a parte l’altezza, è ed appare come una persona adulta, per quanto diversa.

In un certo senso è quasi l’apoteosi della donna-oggetto, un delizioso oggetto in grado di procurare piaceri privati, nel più opprimente immaginario maschile slegata da tutto quello che comporta un responsabile incontro (sessuale prima, e reale poi) con una “donna vera”. Tralasciando il fatto che Bridget è vera quanto e più di tante altre donne.

Un esempio di questo punto di vista è riscontrabile in uno dei suoi film, “Bridget in a suitcase”, dove il portatore di pene di turno apre una valigetta dove esce la piccola Bridget, subito pronta ed entusiasta di praticare una fellatio, come un giocattolo sessuale costruito esclusivamente per quello scopo. Non a caso la bocca di Bridget è ad altezza di pene. Bridget salta sul letto contenta vedendo il pene del suo partner, con atteggiamenti che più che infantili sono stridenti, da folletto schizofrenico.

Lo so, immagini che rivoltano le coscienze femministe, se estrapolate dal contesto del porno, semplice contenitore di se stesso.

La visione di Bridget all’opera è sicuramente disturbante, perché è la visione di una donna adulta che scopa in maniera professionale, quasi “costretta” in un corpo che sembrerebbe fatto più per saltare tra animaletti parlanti in ameni boschetti, ed è invece agghindato con orpelli propri alle professioniste più navigate. E indubbiamente, all’istinto animalesco di molti maschietti, è una visione che eccita.

In qualche maniera, per un uomo, provare eccitazione per la visione del corpo di Bridget significa sradicare il desiderio sessuale che normalmente scatta alla vista del corpo nudo di una bella donna, isolandolo da un contesto più ampio (e rassicurante come può essere quello dei canoni di bellezza), e viverlo per sé stesso, avventurandosi su percorsi immaginari diversi, guidati dalla propria eccitazione che pure rimane convinta e poderosa.

Bridget

Bridget diventa quindi, prendendo a prestito una delle definizioni del feticcio, fantasma psichico, l’immagine concentrata e desiderata di una donna, una nuova essenza che è tutto tranne che parodia, anzi la sua dignità nel farsi desiderabile puttana raggiunge una incredibile e commovente tragicità.

Forzando sicuramente il discorso, non posso fare a meno di notare che nelle sue forme Bridget ricorda alcune rappresentazioni scultoree antiche della Grande Madre, ed in questo caso il suo essere, suo malgrado, feticcio, acquista un senso magico e antico, quasi religioso.

Bridget ha tutto di una donna desiderabile e bella, tranne le proporzioni. I canoni di bellezza socialmente e culturalmente accettati vengono scardinati, ma il desiderio permane, e in questo estraniamento, conosciuto al feticista, si aprono nuovi percorsi fantastici interiori, la possibilità che si formino rinnovate immagini dell’Eros, forse anche scaturite direttamente da quel mare magnum interno o oscuro, nel cui alveo pulsano le nostre memorie collettive più antiche, in aperta ribellione con l’imperialismo immaginifico greco-romano a cui da secoli siamo sottoposti.

Tornano alla mente visioni di immagini arcaiche, apparentemente sepolte, il diverso che veniva considerato tale perchè “toccato dal dio”, depositario di un significato al di là del consueto, depositario del divino, e per questo avversato o adorato, a volte entrambe le cose contemporaneamente. Perché ad un qualche livello, si odia profondamente l’oggetto che siamo portati ad adorare.

Bridget potrebbe a buon diritto far parte di un moderno Freak Show del Porno, uno spazio mediatico circense e circoscritto e come tale rassicurante, affollato di categorie di creature “colte in flagrante reato di esistere”, divertimento e monito per noi “normali”, che sulle loro diversità puntelliamo la nostra sempre più vacillante percezione di noi stessi, soddisfacendo quell’opaco desiderio di conformità e omologazione che tutti coviamo nel profondo.

Ma le sbarre di un Freak Show sono un valico di confine che non chiarisce del tutto chi è fuori e chi è dentro, chi è protetto da chi. Attraverso il veicolo del Desiderio, quasi inconsapevolmente utilizzato da questi adorabili “mostri”, la nostra famelica avidità di corpi nudi si pasce di quello di Bridget, e nostro malgrado gettiamo un’occhiata alla realtà nascosta dietro il tendone del Sexy Circus.

Bridget La realtà è quella di una piccola creatura che è nata e cresciuta provando sofferenze difficilmente immaginabili, ma che, nonostante tutto, è desiderata. Il paradosso e il trionfo della carne, una cartina al tornasole di tutta l’ipocrisia del mondo, talmente evidente da essere quasi innocente, indiscutibile come l’evidenza del desiderio sessuale, che non ha bisogno di spiegazioni ma semmai di giustificazioni a posteriori.

I capricci dell’Eros ignorano il concetto di “diverso”, ben blindato nella coscienza culturale, e distruggono le barriere consuete di attrazione e repulsione. Ecco che affiorano le voci dalle parti più profonde di noi stessi che ci spingono a saltare le sbarre della gabbia e unirci dionisicamente ai mostri, amare la difformità in una voglia orgiastica di contaminazione, aprendoci ad una visione finora negata da secoli di repressione dell’Io. Il pericolo che corriamo è quello di scoprire, attraverso bellissimi corpi nudi “deformi” come quello di Bridget, che l’orrore verso la cosiddetta “mostruosità” è forse la maschera della paura di guardarci allo specchio e scoprirci noi stessi mostri, in quanto esseri umani, “mostrabili”, esposti, nudi e copulanti, poiché ognuno è mostro agli altri, e quindi desiderato, ricercato, concupito.

E dietro la paura e la sua fine, forse, l’immensa liberazione di vivere la propria carne ed i suoi piaceri come diritto inalienabile.

Bridget

Bridget the Midget, con la sua dichiarata, innocente e infantile intenzione di essere la little person più sexy del mondo, ci obbliga non solo a confrontarci con il nostro sentirci “normali” (e di conseguenza, se abbiamo un minimo di coerenza intellettuale, di distruggere o perlomeno ridimensionare il concetto di questa “normalità”) ma soprattutto ci pone lo strano paradosso di desiderare e addirittura invidiare la sua bellezza anormale.

Come in un Freak Show, luogo metafisico di paradossi, dove umanità e disumanità, orrore e meraviglia, libertà e costrizione si mescolano indissolubilmente, Bridget muove desideri e coscienze. Terminata la masturbazione di fronte al suo piccolo corpo ci si ritrova mostri di normalità, liberi in un immenso Freak Show, anelanti ad una differenziazione che allo stesso tempo temiamo e allontaniamo. L’unica speranza per sfuggire a tutto questo sono i mostri, e l’Eros.

Fildor

4 commenti:

  1. Mi hai fatto venire voglia di disegnarla

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  2. tu non scherzi quando scrivi eh?.
    notevole l'introspezione. :)
    ciao.
    Walser

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  3. mi ha fatto venire voglia di trombarla...

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  4. è un mondo particolare che incuriosisce e intriga. penso possano dare altre emozioni che le normali ignorano, proprio per superare quello che sentono un handicap, dannno e concedono di più

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