martedì 26 gennaio 2010

La Porta di Kalka

“Che l’unico vero Dio Onnipotente, creatore del Cielo e dei Deserti e di tutte le creature visibili e invisibili che strisciano su questo mondo o si insinuano nei sogni degli uomini si degni di proteggere il più misero dei suoi servi, rinchiuso in questa prigione di carne infestata da parassiti e fiaccata da una vita di rinunce, mentre si accinge a vergare su questa pergamena le terribili visioni che lo hanno portato ad un passo dalla completa follia.

A maggior Gloria di Colui che governa gli astri e comanda le legioni dei demoni che affliggono questo mondo, io, Erodio il Cenobita, indegno servo del Padre Celeste, chiamato dalla plebe il Veggente, il Solitario, il Compagno delle Locuste, racconterò ciò che ho visto, con l’unico scopo di ammonire chi indulge nei peccati della carne, ignaro degli abissi, a tornare sulla via del giusto, una strada che forse a me è preclusa per sempre.

L’intera umanità cammina sul ciglio di questo abisso, la cui vista viene pietosamente celata alla maggior parte degli uomini…”



“Venni scaraventato nel profondo della voragine infinita degli spazi, mentre artigli invisibili mi dilaniavano il corpo e l’anima.

Dopo un tempo che mi spinse ad immaginare il concetto di “eternità”, precipitai in un pozzo di tenebre.

Alzai lo sguardo dal lago di oscurità e vidi stagliata sopra di me la sagoma di un portone immenso, librato nel vuoto dello spazio.

Mi affido alla Volontà di Colui che tutto determina nel raccontate questa visione, perché al solo ricordo la mente vacilla e dubita del suo stesso pensare.

Ad un primo momento la Porta mi sembrò di un materiale simile all’avorio, lavorato con una maestria talmente inumana da rivelare senza tema di smentita la sua natura diabolica.

Poi, trattenendo a stento un grido di orrore, mi accorsi che le figure contorte intagliate nella Porta erano animate da una vita spaventosa e innaturale.

Mi avvicinai, pieno di timore, più per allontanarmi dal contatto osceno delle tenebre liquide che per una peccaminosa curiosità.

Salii una scalinata che fino a quel momento mi era stata nascosta e potei rimirare la Porta da una minore distanza.

La sua grandezza toglieva il fiato e opprimeva l’animo, ma erano i suoi terribili bassorilievi viventi a farmi gemere come un infante terrorizzato.

La Porta era dominata per tutta la sua lunghezza da una figura femminile, il cui portamento e aspetto era quello di una regina, o una dea pagana.

La bellezza del suo volto e delle sue nude carni lascive mi oscurò l’animo a tal punto da non permettermi di accorgermi ad un primo momento delle sue connotazioni mostruose.

All’altezza della vita ben tornita della donna spuntavano altri due busti femminili, rispettivamente quello di una vergine dalla lunga chioma bionda e il seno ancora acerbo e l’altro appartenente a una selvaggia baccante dai capelli crespi e neri come d’inchiostro, intrecciati di foglie di mirto e, particolare orribile, con le voluttuose labbra macchiate di sangue.

Ai piedi della triplice Dea stava tutta una pletora di uomini e demoni, anelanti e gementi, pressati tra loro a tal punto che era impossibile distinguere le singole figure, brulicanti come un nido di vermi.

Ebbi l’impressione che ciascuna di quelle creature avesse da tempo offerto la sua anima immortale o il suo equivalente all’altare della Dea, e ora trascorressero così l’Eternità, nelle sembianze di statue viventi, suggendo dai piedi nudi della loro blasfema divinità il nettare infernale che incessante le ruscellava dalla lubriche cosce.”

(Fildor)

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